Perché si fa (davvero) sicurezza sul lavoro?

Scopri tutto sulla sicurezza sul lavoro: normativa, obblighi, figure coinvolte, corsi di formazione e sanzioni previste dal D.Lgs 81/08.

Di AGC Formazione
5 min di lettura

Perché le aziende investono, o sono costrette a investire, nella sicurezza sul lavoro? La domanda è semplice, la risposta… beh, un po’ meno. Le motivazioni sono complesse e spesso è proprio la motivazione che sta alla base a determinare il reale successo del sistema di prevenzione. Facciamo il punto della situazione e analizziamo le tre motivazioni che muovono il mondo della sicurezza.

La Sicurezza: complessa, ma necessaria

Sappiamo tutti che la sicurezza sul lavoro, regolata dal D.Lgs. 81/08, è un universo vasto e in continua evoluzione. Non ne semplifica la comprensione, poi, la molteplicità di figure aziendali che la norma prevede: dal Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e, naturalmente, il Medico Competente.

Queste figure collaborano alla valutazione dei rischi e definiscono le misure di prevenzione e protezione più adeguate, che possono spaziare dai dispositivi individuali (DPI) ai piani di emergenza e lotta antincendio. Insomma, un impegno non piccolo sotto tutti i punti di vista.

E allora torniamo a chiederci: “Perché tutto questo sforzo?” Le ragioni tipicamente rientrano in tre categorie principali: i Motivi Legali, quelli Economici e, non meno importanti, i Motivi Etici.

1. “Evergreen”: i Motivi Legali

È la spinta che potremmo porre a garanzia della sicurezza. Dopo decenni di evoluzione normativa, ogni datore di lavoro sa che esistono leggi in materia e che la non conformità può portare a gravi conseguenze. Il rischio? Nella peggiore delle ipotesi, processi penali. In queste aziende, la sicurezza è vissuta come un “fardello”, quasi alla stregua di una “tassa da pagare”. Di conseguenza, le attività vengono svolte con lentezza, la fiducia nell’investimento è zero e il livello di sicurezza percepito e garantito sarà, nel migliore dei casi, quello minimo previsto dalla legge. Sicuramente un quadro non rassicurante!

Pensiamo al caso Thyssenkrupp (2007): un incidente drammatico che ha fatto da spartiacque nella percezione italiana del rischio. Da quel momento, è diventato chiaro a tutti che per “questioni legate alla sicurezza” non si rischiava più solo una sanzione amministrativa. No, si rischiava la galera.

Il risveglio, seppur tardivo, delle coscienze ha fatto sì che i lavoratori abbiano preso coscienza che certi livelli di rischio non sono tollerabili. D’altra parte i datori di lavoro hanno appurato che le normative non sono solo una “frasetta messa lì per fare da spauracchio”, ma che le conseguenze, in caso di infortuni gravi, possono essere davvero disastrose.

2. I Motivi Economici

Su un livello decisamente diverso si collocano le aziende mosse da motivi economici. Qui, la sicurezza non è un costo, ma un processo aziendale da ottimizzare. L’azienda che adotta questa prospettiva gestisce la sicurezza come un’area capace di portare benefici tangibili:

  • Riduzione dei costi indiretti: Meno infortuni significa meno rallentamento del lavoro, meno assenteismo e maggiore efficienza produttiva.
  • Vantaggi e Agevolazioni: La possibilità di usufruire di scontistiche e incentivi (es. riduzione dei premi INAIL).

L’obiettivo è spesso fissato sull’obiettivo “zero infortuni”, partendo da un budget predefinito. Attenzione, però: se da un lato questa consapevolezza porta a politiche di prevenzione serie, dall’altro l’idea di limitare con un budget la salvaguardia della vita umana stride con l’oggetto della tutela. È un passo avanti enorme rispetto alla mera conformità, ma il profitto resta il faro principale.

3. La spinta più nobile: i Motivi Etici

Infine, abbiamo la motivazione più “nobile”: la spinta etica. L’implicito desiderio, dato dalla consapevolezza, di non voler esporre un altro essere umano a un rischio ritenuto inaccettabile. In questo caso, la sicurezza è un valore intrinseco. L’obiettivo primario non è evitare la multa o risparmiare, ma salvaguardare la vita e la salute dei propri dipendenti. Questa, purtroppo, è anche la situazione più “fragile” nella realtà pratica. Lo spirito iniziale, per quanto ammirevole, rischia di essere diluito e sacrificato nel tempo a fronte di:

  • Pressioni produttive.
  • Priorità economiche improvvise.
  • La difficoltà nel definire in modo univoco il concetto di “rischio considerato inaccettabile” quando è in gioco il profitto.

L’Equilibrio come soluzione

Come abbiamo visto, non esiste una singola motivazione. I risultati migliori e più duraturi si ottengono quando le tre spinte, Legale, Economica ed Etica, trovano un giusto equilibrio. Solo così l’azienda può sviluppare una vera e propria Cultura della Sicurezza, trasformando un obbligo di legge in un investimento strategico e in un valore umano fondamentale.

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